Titolo: Dead Silence (id.)
Regia: James Wan
Sceneggiatura: Leigh Wannel
Paese: U.S.A.
Anno: 2007
Può un horror parlarci di omologazione sociale?
In altre parole, può un horror riuscire a trasmettere uno dei fenomeni maggiormente sottovalutati della società contemporanea?
Sicuramente chi conosce, o è semplicemente appassionato di horror francesi (basti vedere le opere della "nouvelle vague sanguinaria" che vanno da Alta tensione a Martyrs, per intenderci) non avrà difficoltà a dare risposta a tale quesito.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalla storia. Dead silence ci racconta una storia fin troppo semplice, ma comunque di forte impatto, soprattutto in virtù di ciò che è stato detto in precedenza. Una giovane coppia riceve un pacco misterioso, senza mittente, e al suo interno vi trova un pupazzo da ventriloquo. Mentre il ragazzo va a prendere del cibo al ristorante cinese sotto casa, lei viene brutalmente assassinata e sfigurata. Il giovane, sicuro che il responsabile sia il pupazzo da ventriloquo, comincia le ricerche che lo portano nella sua città natale, alla ricerca di Mary Shaw, la creatrice del pupazzo, linciata anni prima a causa della scomparsa di un ragazzino, la quale rivive come presenza omicida all'interno dei pupazzi.
Un intreccio fin troppo banale, che rimane forse l'unico punto debole della pellicola, ma che riesce a dare vita ad una serie di considerazioni interessanti. Considerazioni che lasciano intravedere una sorta di critica alla società contemporanea. Infatti, i pupazzi da ventriloquo, rappresentano la società stessa. Una società omologata, i cui membri seguono standard e concetti (o preconcetti) creati e insitllati da un qualcuno o da un qualcosa di esterno. Il quale agisce dietro le loro spalle o, sarebbe meglio dire utilizzando la metafora del ventriloquo, dietro le loro spalle e li obbliga a comportarsi secondo schemi pre costituiti.
In questa maniera, secondo questa chiave di lettura, la società si ritrova ad essere composta da una serie di pupazzi da ventriloquo e coloro che cercano di ribellarsi a tale schema si ritrovano con la bocca chiusa, serrata. Un po' come le vittime di Mary Shaw, le quali non rimanendo in silenzio vengono sfigurate, con la bocca deturpata e la lingua staccata.
Quindi ritornando al quesito posto all'inizio dell'articolo: "Può un horror parlarci di omologazione sociale?" la risposta, in questo caso, pare essere affermativa. E Dead Silence riesce a rendere l'idea alla perfezione. Un film che ricorda, per costruzione e per capacità estetica, quel "Drag me to hell" di Sam Raimi, altro piccolo gioiello horror che riesce a darci uno sguardo sulla società contemporanea.
In definitiva Dead Silence si identifica come una buona pellicola. Un po' scarna a livello di plot e di interpretazione da parte degli attori principali (il pupazzo da ventriloquo risulta essere più espressivo del protagonista), ma che rimedia grazie ad un'ottima capacità tecnico-estetica da parte del regista, quel James Wan che avevamo già apprezzato dietro la macchina da presa in "Saw", e soprattutto grazie ai contenuti che si celano dietro ad una visione superficiale.
mp.
Lo trovi in: dvd; in rete.
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