24.2.12

Hostel 3

Titolo: Hostel part III
Regia: Scott Spiegel
Sceneggiatura Michael D. Weiss, Eli Roth
Paese: U.S.A.
Anno: 2011

Eccoci al terzo capitolo e la domanda che sorge spontanea, soprattutto in virtù dell'uscita in home video del film senza passare per le sale (in Italia qualsiasi genere di spazzatura etichettata come "horror" passa per le multisale), è: potrà dirci qualcosa di nuovo questo film? Potrà aggiungere qualcosa ai precedenti, o è veramente l'ultimo colpo di coda per fare introiti sfruttando un titolo di potenziale successo?

 Le prime scene del film sanno di deja-vù, ma tempo qualche minuto e ci scappa un sorriso: finalmente il gioco si inverte. Quella che sembrava la vittima (americana) predestinata, ecco che si spoglia della sua innocenza e si fa carnefice. Il film non finge di essere innocente, ma rende subito omaggio ai suoi due predecessori e a chi se li è visti. L'altra novità, la prima, è che sono gli ospiti, qui, a essere gli assassini di cui diffidare. Ospiti della loro stessa America (siamo a Las Vegas), e non di qualche ostello nell'Est Europa (ricordiamo Bratislava e Praga nei primi due film). Non a caso un grande specchio troneggia sula parete della camera, uno specchio che riflette da subito l'immagine del carnefice, come a dirci: chi è il mostro? Ma siamo noi! E proprio dietro a quello specchio (a quella immagine-identità riflessa) ecco che c'è una porta nascosta che dà sulla strada, sulle attività assassine e a scopo di lucro dell'organizzazione.


Terminato l'incipit, la storia ci racconta di una coppia di (futuri) sposini felici che sta per convolare a nozze. Prima però lo sposo dovrà fare il classico addio al celibato tra fiche, fiches e alcool. La sua guida in questo universo di sballo sarà il suo caro amico Carter, che rivestirà anche il ruolo di testimone dello sposo. Il problema è che il testimone voleva essere lo sposo, e questo, oltre che dalle prime battute, emerge dalla presentazione del triangolo amoroso-familiare (Immagine 1 e 4).

I futuri sposi e l'arrivo di Carter (Immagine 1)
Ammetto che, date le premesse, temevo che Hostel 3 si trasformasse in un qualche apologo proibizionista e moralista, della serie c'è il Matrimonio, loro vanno all'addio al celibato a sballarsi e questo comporterà una punizione per coloro che hanno trasgredito ed esagerato. Per fortuna mi sbagliavo, e già dall'arrivo dei quattro amici (sposo, amico-leader, amico-zoppo/moralista, amico infoiato) ecco che Las Vegas viene mostrata come una città a due piani, una metropoli dal doppio volto (proprio come il tipo dello specchio nell'incipit): un volto patinato, sorridente, luminoso e felice in superificie,  un volto sporco, violento, buio e oscuro sotto le strade, nei cunicoli del sottosuolo e nei sotterranei. Gli stessi sotterranei che nascondono enormi gabbie in cui sono rinchiuse le prede dell'élite hunting club, e che fanno da contraltare a una città ripresa dall’alto: musica, donne, soldi, divertimento, luci, tutto a pagamento ("Tette e culi per non pensare al mutuo, e quando tornerò a casa guarderò mia moglie negli occhi e le dirò che non sono mai stato qui").
Una regia televisiva, degna di qualche serie made in Mtv, lascia spazio a qualche battuta moralista ("Questo cazzo di posto è l’incarnazione del male") in cui non mancano provocazioni virili ("Forse è un po’ troppo per questi bravi ragazzi di periferia il nostro locale").
I quattro ragazzi di Phoenix, tra un'infinità di culi ripresi in primo piano (una vera ossessione che percorre tutta la pellicola questa ripresa di culi e tette, in un connubio pulsionale di sesso&morte), vedono procedere tutto per il verso giusto, finché un taxi guidato da un extracomunitario li porta in un luogo periferico. Lì bussano ad una porta e lo sposo viene preso, incappucciato e legato ad una sedia. La regia indugia sui dettagli, crediamo che la tortura stia per cominciare, e invece ecco che siamo ancora stati presi in giro. Niente torture, quei cappucci e quella violenza non ricordano più Abu Ghraib e Guantanamo. Questa è una sedia del piacere, in cui un uomo americano che ha già tutto può avere champagne ed escort a volontà.
Un freno, una castrazione, lo sposo riesce però a imporsela: non è un santo, infatti aveva già tradito la futura moglie, ma da allora ha promesso che avrebbe tenuto a bada il salsicciotto. E così fa, andando a prendere una boccata d'aria. Il taxista è lì che aspetta e ancora il film vive di una discreta ambiguità: il pericolo è dentro o è fuori? Quel locale è la macelleria o dobbiamo avere poca fiducia nel taxista? Il film, per differenziarsi dai precedenti, insitlla nello spettatore questa attesa angosciante, in cui tutto scorre rapidamente, ma in cui non ci sono punti di riferimento per capire dove diavolo sta il "male".
Finalmente gli amici si svegliano nell'hotel, la mattina seguente, e scoprono che uno di loro, l'infoiato Mike, è scomparso e non risponde al cellulare (spento per tradire senza essere disturbato). Mike è recluso in una delle gabbie, intimidito dai metodi nazisti-militari delle guardie che usano la forza bruta e il paralizzatore elettrico per fare di lui ciò che vogliono (altri). Le guardie, tutte rappresentate e rappresentanti etnie da bronx (afroamericani e sudamericani) lo fanno perché sono pagate per farlo, e tanto gli basta. I soldi, lì come nei casinò e con le escort, sono l'unico strumento di potere.
Mike viene piazzato sulla celebre sedia, che stavolta ricorda molto la sedia elettrica, sia per il fissaggio all'altezza della fronte, sia perché è sita è sita di fronte a una platea di spettatori. Questa nuova modalità di tortura, offerta ad un ampio pubblico, somiglia molto a uno show, e ricorda la modalità di visione di un film. Ecco una delle importanti novità di questo Hostel che, se dal punto di vista registico – attoriale – di dialoghi e di montaggio (ovvero di autocastrazione, perché le scene spaltter sono poche poche, e lesinando su di esse di è andato a tradire lo spirito, o forse il senso, dei precedenti capitoli) è un film mediocre e televisivo, riesce invece a essere notevole per queste innovazioni della tortura.
Lo show della tortura in diretta (Immagine 2)
In primis, la tortura nei primi capitoli si configurava come lo sfogo di una pulsione bestiale, il lato mostruoso di questi uomini e donne, di questi ricchi in cerca dell’intrattenimento in grado di soddisfare realmente le loro pulsioni. Hostel era il luogo del sottosuolo, il luogo del rimosso, della parte dell’Io nascosta, dove si poteva essere bestie, predatori, senza nascondere la propri natura. Ma questo avveniva in un rapporto segreto, un rapporto di 1 contro 1 (o poco più): il cliente e la sua vittima. Stop. In Hostel part III abbiamo invece una novità: il ricco non si sporca più le mani, non cede più alle sue pulsioni, ma decide di accomodarsi in poltrona e guardare. Proprio come noi spettatori. Non ricorda forse un cinema quella sala con tante poltrone, al cui centro troneggia una vetrata che sembra proprio lo schermo rettangolare?
Quindi il torturatore si fa voyeur, guardone, ma guardone attivo: ecco che il film fagocita altri elementi interessanti della contemporaneità, assistiamo a uno spettacolo mediato (altri uccidono e torturano in nostra vece), ma possiamo assolutamente avere una visione multimediale, ipermediata e attiva: diversi schermi indugiano sui dettagli, mostrano al meglio ciò che dalla vetrata non si vede bene, nulla può sfuggire e nulla può non essere visto o visto male. Inoltre ecco la possibilità di scommettere in diretta sulle torture: quante frecce serviranno per uccidere il ragazzo? Dove colpirà per primo il folle chirurgo? Il pubblico (i ricchi, l’aristocrazia del film) può scommettere, non a caso siamo a Las Vegas, sulla vita dei poveri malcapitati, quasi sempre (a eccezione dei protagonisti, come scopriremo) persone sole e senza parenti, esseri umani che vivono a lato della società. Ecco che l’aristocrazia, usando il potere dei soldi (con cui paga guardie, cameriere, ecc) riesce a dare un ruolo alle vittime della società capitalista: carne da macello. Ed è interessante, anche se non viene spiegato dal film, capire chi siano i perpetratori delle torture. Non sembrano proprio essere i ricchi, quelli sono al di là del vetro ad assistere allo spettacolo tra cocktail, tette, culi e schermi di pc sui quali scommettere. No, probabilmente quelli che fanno torture appartengono alla classe media, né ricchi né reietti, semplicemente dei “professionisti” (dottori, tiratori, ecc) al soldo del miglior offerente.
Perché in Hostel tutto è merce, tutto si può comprare.
E quando le classi dominate provano a ribellarsi, nemmeno riescono più a capire chi è (scusate il termine obsoleto) il “padrone” (un film, che non c’entra nulla con l’horror, interessante a riguardo è Louis Michel).
Tornando al film, osserviamo finalmente come avviene la prima tortura:
-         inizialmente si configura come tortura psicologica, Mike non sa dov’è, nessuno gli spiega nulla e si trova legato davanti al pubblico mentre un uomo vestito da chirurgo gli gira intorno con un trapano.
-         poi la tortura diviene fisica: questa volta viene usato un bisturi e viene rimossa l’epidermide dal viso di Mike, poi si chiude il sipario (fine dello spettacolo, del grand guignol)

Una scena del genere non è nuova all’horror contemporaneo, l’abbiamo vista in Jeepers creepers, in Martyrs e nell’eccezionale Red white and blue di Simon Rumley. In ogni film lo scuoiamento ha significati (narrativi e non) differenti, in Hostel sembra solo uno dei tanti modi possibili di far andare avanti lo show.
I tre ragazzi, della classe medio-alta (tranne uno: Carter), vanno a cercare Mike dalla escort con cui era, e qui  si meravigliano delle abitazioni delle prostitute: le ragazze vivono in un parcheggio di caravan, sono povere, e probabilmente per quello devono vendersi a dei coglioni come loro.
Dopo essere inorriditi per lo squallore del luogo, ecco che vengono colti in flagrante e minacciati. Questa scena ci fa scoprire che anche Nikki, la escort che era con Mike, è scomparsa, ma ci ribadisce anche un’altra cosa: secondo i ragazzi tutto si fa per i soldi. Infatti il primo commento-pensiero è che le minacce non siano fatte dai proprietari di casa per difendersi e per trovare la loro amica, ma per “spillare altri soldi”. Nel mentre, l'aristocrazia annoiata dell'élite huntig club, che sembra abbia già fatto e provato tutto, non può fare a meno di configurare lo show come tale: Nikki viene vestita da cheerleader, perché non basta più una ragazza, tutto è già stato fatto (ed è già stato visto, ivi compresi noi spettatori dell’horror, chiamati in causa per la nostra perversione e volontà di vedere, e vedere torture “nuove”). Interessante notare che, tra il pubblico, i ricchi non sono solo americani, ma la platea è assolutamente multiculturale e si comprende parlando la lingua dei dollari. Nikki viene sbranata da alcuni insetti carnivori, mentre gli lcd trasmettono in diretta, ma nonostante questo dovremo attendere il finale per vedere qualche scena estrema paragonabile ai capitoli precedenti. Qui è concessa una ripresa estrema che mostra un insetto uscire dalla trachea della defunta Nikki, è come se la mdp fosse collocata all’interno della sua gola, sintomo di un cinema che non si pone più limiti di ripresa (come già capita a serie come C.S.I.).
Il luogo che nasconde l'Elite hunting club Las Vegas (Immagine 3)
La escort amica di Nikki, in una delle poche frasi del film che restano, spiega ai ragazzi (e a noi) come funziona tutto in quella città, Las Vegas (o, forse, potremmo dire in America, o nel nostro Occidente): “In questa città è tutto finto, non c’è nulla di vero e nessuno conosce nessuno”.
Anche le istituzioni (la polizia) hanno perso il loro ruolo, ovvero essere al servizio della comunità, dei cittadini: servono diversi giorni perché si attivino per cercare uno scomparso. Questa umanità falsa, egoista, trova conferma negli strumenti che utilizza: a Justin arriva un sms e poi un mms di Mike (ovviamente è uno dei ricchi che usa il suo cellulare fingendosi Mike). L’mms ritrae Nikki morta, ma sembra davvero che stia dormendo e sia con Mike. L’accusa non è alla tecnologia (cellulari, internet, ecc), ma al modo in cui certe persone la usano (o possono usare) per i propri scopi. Fattosta che gli sms li portano all’hostel dell’inizio, ed ecco ancora un team di rapitori che fa irruzione (da dietro lo specchio, ennesimo rimando a tutto ciò che sta dietro la nostra immagine riflessa, ovvero la nostra identità nascosta) e prende i tre amici e la ragazza.
Non tarda il grande colpo di scena: Carter viene liberato dalla gabbia, grazie al suo tatuaggio "cinofilo". Carter è uno di loro. Ecco che Hostel veicola altre novità: il bastardo assassino, il ricco feticista non è qualcosa di altro dagli americani, non è qualcosa di altro dalle vittime stesse, ma è parte di noi. Della nostra comunità, e probabilmente lo conosciamo pure.
E Carter, l’amico di vecchia data, ecco che si trasforma rispondendo ai suoi amici increduli: “è l’Elite hunting club. Significa riservato ai soci”.
Ecco qui l’altro colpaccio di Hostel III, la realtà che emerge nei momenti chiave: se quando le cose vanno bene tutti siamo amici e uguali, ecco che nei momenti di crisi, di pericolo, le disuguaglianze sociali emergono e tornano a galla le differenze sociali, le celebri classi: i dominatori, ovvero chi possiede capitale economico, è libero e può scegliere, mentre gli altri se ne stanno in gabbia in attesa della morte.
Ieri non conta più, è l’oggi (l’adesso) che si configura come lotta per la sopravvivenza, una lotta impari, ovviamente.
Carter, a colloquio col gestore del club, si lamenta: dovevano prendere solo lo sposo, non gli altri. Ma Carter, pur essendo un ottimo cliente, è un pesce piccolo lì dentro (dove tutto, vita e morti, sono pianificati con un preciso business plan) e deve accontentarsi di quello per cui ha pagato: uccidere il suo migliore amico che sposa la ragazza che lui voleva avere (anche qui i rapporti umani sono rappresentati come possessivi, come se la sposa non fosse altro che una merce da possedere e da scopare, e qui torna in mente il magnifico A l’interieur). Carter si scola un drink mentre si gode con indifferenza la morte del suo amico menomato Justin, anche qui vediamo loro (in particolare l’assassina) vedere le torture, ma a noi spettatori è concesso poco, e qui si continua a tradire il senso di torture porn dei primi capitoli e anche la critica che si intavola col discorso del palco e degli schermi lcd.
Lo sposo, vestito in smoking bianco, viene fatto accomodare nella sala delle torture. Ecco che la verità (che in realtà ci era già stata mostrata con le immagini all’inizio del film) viene a galla: il sipario si apre, Carter brandisce una motosega e, prima di usarla, spiega che non si emoziona più come prima a uccidere (a proposito dei discorsi fatti in precedenza…), e per farlo (per emozionarmi, per provare piacere) devo uccidere qualcuno a me vicino.
"Perché me lo merito?"
"Perché hai ciò che volevo io!" (eccola qui la verità, il possesso della bella moglie).
Il problema è che Carter, come detto, conta poco e i potenti possono fare a meno di lui e dei suoi soldi: così lo spettacolo migliore, il più divertente su cui scommettere, è dato dalla lotta tra i due amici. Scott, lo sposo, viene liberato, riesce ad avere la meglio e fuggire armato dal “fottuto spettacolo” e dai “bastardi” (like us) che lo guardano. Si scatena il caos, altri prigionieri si liberano e allertano la polizia: viene avviata l’autodistruzione e bisogna fare fuori i prigionieri-testimoni. Il finale è un’esplosione di splatter, con sangue che sgorga e braccia mozzate. Carter riesce a salvarsi la pelle e a chiudere all’interno del cancello Scott che è condannato dall’esplosione.
Carter "si fa strada" tra i due a inizio film (Immagine 4)
Carter e lei, potenziale nuova coppia,  e tra loro le ceneri di Scott (Immagine 5)
Il finale, per quanto scontato (probabilmente avremmo apprezzato di più un finale privo di vendette), si configura come l’inizio: stavolta la coppia è composta da lei e Carter, e tra di loro ci sono le ceneri del defunto Scott. Potrebbe nascere una bella famiglia sulle ceneri della menzogna, della violenza e dell’egoismo, ma invece no, arriva Scott mezzo ustionato e perpetra la sua atroce vendetta. Il garage è allestito come sala delle torture, un tosaerba ucciderà Carter (anche qui la visione è castrata).
Il piccolo uomo medio Scott impara la lezione e persegue la sua personale vendetta, ovviamente all’interno della sua proprietà (casa sua), con al fianco la sua donna e in un luogo sotterraneo in cui stanno gli scatoloni del rimosso.

AF

Lo trovi in: Dvd dal 22/2; in rete.

Tag: i capitoli precedenti; Cose molto cattive

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